di Isa Grassano

L’arte della terracotta

Spostandoci a Matera si può scoprire il mondo del “Maestro Artigiano” Mario Daddiego. Entrare nel suo laboratorio – Il Bottegaccio – nel cuore dei rioni pietrosi, sotto la chiesa della Madonna dell’Idris, è come aprire uno scrigno di meraviglie. Una tradizione di famiglia: era bambino e Mario anziché impilare le costruzioni si divertiva a inserire l’argilla negli stampini, mentre giocava nei laboratori dei suoi parenti.

«Usavo il fondo nero per decorare ma poi finiva che mi sporcavo tutto e quindi i miei zii mi facevano smettere. Però ero un attento osservatore e un mestiere s’impara anche dallo sguardo, anche dal confronto con gli altri artisti che passavano in bottega, da Luigi Guerricchio a Ugo Annona, da Ho-Kan a Gustavo Gastone Torini». 

Da allora nulla è cambiato, anzi ha mantenuto quell’entusiasmo di bambino quando ai turisti spiega cosa è un timbro del pane o la pupa colorata in terracotta, per la quale ha ottenuto il riconoscimento del “diritto d’autore”. In origine la bambola era fatta in caciocavallo, in formaggio, ed era venduta nei giorni di festa, e usata, di solito, per lo svezzamento dei bimbi. Oggi sono tutte differenti nei colori e vengono utilizzate le tonalità del costume tipico “arbereshe”, le etnie albanesi passate dalle nostre parti a fine Quattrocento. E ancora il cuccù risalente al periodo magno-greco del quarto secolo avanti Cristo, importato dagli Achei. Unica forma, il gallo, il simbolo che apparteneva alla Dea Demetra, Dea della fertilità e della abbondanza. Una volta si chiamava “scacciaguai”, ora si dice portafortuna, e quelli di dimensioni piccole venivano appesi sulle culle dei neonati come protezione.

Talvolta si può vedere Mario mentre, con movimenti sicuri, maneggia la carta, la plasma, e, strato dopo strato, prendono forma personaggi sacri, parti di fregi o di ornamenti, o i putti, ovvero gli angioletti. Il suo è un lavoro certosino di precisione. Daddiego realizza anche presepi in cartapesta, che sono uno spaccato dei Sassi e della civiltà contadina, con gli interni curati in ogni minuzioso dettaglio. Le case si sovrappongono una sull’altra, mentre le scale e le direttive convergono in un unico punto che è la Natività.

«Uno scenario dove calcolo l’uso della luce e le prospettive, come se fosse una quinta scenografica».

Tra i personaggi non manca mai l’uomo che trascina il mulo che si impunta e non vuole affrontare le salite o la vecchietta in lutto, vestita tutta di nero, una figura classica della nostra Basilicata.